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mulatrial focaccia Recco

Racconti mulatrial > 2014



La Liguria che non ti aspetti ….

Si può riassumere così la Mulatrial della Focaccia partita domenica 12 gennaio dal Lungomare Bettolo di Recco (GE) verso i comuni di Avegno, Lumarzo, Sori e Uscio.



Alla mattina si è aperta una finestra di sole su un insistente periodo di pioggia, tale da mostrare i panorami sul mare d’inverno del Golfo Paradiso ai 250 partecipanti: una visione celestiale sulla celeberrima Punta Chiappa del promontorio del parco naturale di Portofino, lambita da un mare a specchio … e con la focaccia appena sfornata tra le mani.



I presupposti paesaggistici c’erano tutti, le persone erano cariche di entusiasmo e il sole ha illuso che il percorso potesse essere una normale passeggiata sui crinali, catturati dai panorami a 360° da postare con i cellulari sui social network ….



Oggi funziona così e anche i motoalpinisti più arcaici non si sottraggono a questi nuovi riti …



Camere sui caschi, smartphone di ultima generazione che ti restituiscono visioni e riprese degne di un reportage naturalistico.

Prime impressioni che ho visto svanire tra la fatica ed il sudore generati dalla “tradizione” del trial, l’acqua dei mesi passati ha tramutato le lastre di ardesia delle mulattiere in superfici saponate inattaccabili dalla presa dei tasselli.



Una tradizione molto forte, quella del trial, ricorda a tutte le nuove meraviglie tecnologiche, moto comprese, che la tecnica di guida la devi mettere in discussione ogni volta che sali in piedi sulle pedane e parti per un nuovo posto diverso dai luoghi ove giri solitamente con gli amici.

Qui non servono le “app” per trovare la formula migliore, devi riprendere solo la tua concentrazione, ti accorgi che la posizione sulla moto, l’impostazione in curva e la sensibilità al polso destro, abbinato alla dolcezza con cui rilasci la frizione con l’indice sinistro, devono funzionare in accordo con la vista del percorso, con l’altezza del prossimo gradino o con la ricerca costante di un minimo di aderenza tale da darti lo slancio sufficiente a passarlo.



Ecco, alla “Focaccia”, il percorso è stato veramente inaspettato, le pendenze non erano insuperabili, i crinali non presentavano passaggi veramente impossibili però l’aderenza era prossima a quella di un cubo di ghiaccio su una piastra riscaldata e ti ritrovavi fermo o di traverso anche in piano …..



L’ascesa al Poggio del Redentore doveva essere così: un percorso mistico di una via crucis come quella affrontata da generazioni per arrivare alla beatificazione data dalla visuale sul golfo.



E’ stata una salita dura ma piena di soddisfazione, sotto la stele del Redentore tutti abbiamo capito che ogni giro ha un suo perché, presenta una sua caratteristica che lo rende molto diverso dagli altri ma deve essere affrontato sempre con il medesimo spirito, senza presunzione e in punta di piedi.



Da qui siamo saliti sul crinale verso il Monte Cornua, un antico percorso lungo i muretti a secco che delimitavano i vari appezzamenti di terra dei pastori, in alcuni punti si trovano i piccoli capanni utilizzati come riparo durante la notte a testimonianza di una vita dura in piena simbiosi con la natura e gli animali.



Risulta difficile sintonizzarsi con quei tempi, il territorio qui è pieno di queste testimonianze di una vita così faticosa tanto da risultare impossibile secondo i nostri canoni attuali, l’esempio lo abbiamo visto più avanti nel percorso quando abbiamo trovato le antiche miniere di Monte Rosso dove
l’ardesia veniva “cavata” nel terreno a mano dai minatori.



L’esterno oggi ci restituisce la vista dell’ingresso di questi inghiottitoi di esseri umani come dei buchi neri profondi pieni d’acqua, neppure l’immaginazione più ardita è in grado di capire le difficoltà e la fatica necessaria per estrarre la pietra nera a mano dal ventre della montagna.

Forse si riesce ad immaginare a malapena solo le loro donne in fila, con le lastre di ardesia sulla schiena, lungo quelle  ragnatele di sentieri e mulattiere per portarle alla lavorazione e alla vendita tra mille difficoltà di ogni genere.

Tempi passati ma che comunque devono essere ricordati e condivisi, se non altro per rispetto di coloro che questi sentieri e mulattiere li hanno creati per la loro sopravvivenza mentre ora li transitiamo come turisti spensierati, è un’eredità comune che deve essere mantenuta per tutti.



Il tracciato è proseguito tra saliscendi nei monti, qui non sembrava proprio di essere sul mare, le valli dei versanti nascoste verso l’entroterra mostravano tappeti di muschio verde intriso d’acqua sugli alberi e sulle rocce, l’umidità evaporava al calore insolito di una giornata d’inverno tanto da rendere l’atmosfera più densa.



Meno male che poi siamo usciti sul crinale verso il Monte Tugio …..

Ho trovato un gruppo di motoalpinisti in attesa di lanciarsi su per una salita a prima vista nella norma … ma più in altro, dopo una piazzola di terra, l’apice si perdeva su un dente di roccia lastricata dal fango e incorniciata dalle radici ….. solo pochi svitati sono riusciti a passare tra gli applausi degli spettatori: alcuni escursionisti con i bambini che hanno apprezzato la nostra atipica passione!




Io ho preferito proseguire nel sentiero di lato …. purtroppo verso la parte finale  del percorso su sentiero che porta alla Madonna del Caravaggio e poi scende verso la cittadina di Recco.



Eravamo provati, però la fatica è scomparsa di fronte alle troffie al pesto e alla focaccia al formaggio gustata sul ristorante del lungomare mentre l’organizzazione del Motoclub della Superba ha fatto provare le minimoto ai bambini.



Secondo anno per questa mulatrial, si spera in crescita, con l’obiettivo di dimostrare anche nel levante ligure la sostenibilità del connubio tra il mare e il motoalpinismo, una sensazione recepita dall’assessore allo sport  di Recco, Franco Senarega, che ha potuto apprezzare l’organizzazione della sezione Trial Recco del MC della Superba nel garantire una manifestazione rispettosa delle regole e della convivenza civile dei partecipanti con la cittadina.



Arrivederci all’anno prossimo, sempre al sole sul mare d’inverno del Golfo Paradiso.



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